martes, 15 de abril de 2008

Società civile e capitale sociale

José Fernández Santillán

Società civile e capitale sociale


Dobbiamo convenire che, oggigiorno, pensare la democrazia significa dirigere la ricerca in svariate direzioni, forse troppe; questa sovrabbondanza di orientamenti ha come conseguenza un’evidente confusione e una dispersione dello studio.
Direi, cercando di mettere un po’ d’ordine, che ci troviamo in compresenza di correnti che prediligono la parte superiore - istituzionale - della democrazia, e di correnti piú interessate alla base sociale della piramide democratica. Lo studio della democrazia “dall’alto” sembra, purtroppo, essere quello più diffuso nella scienza politica contemporanea, che però tralascia il rapporto tra gli organi di Stato e gli individui e associazioni. Dal mio punto di vista, quest’ultimo è invece la base di una solida costituzione della democrazia. Infatti, qualora lo studio si incentrasse solo sulla sfera che racchiude i rapporti di potere, ne sarebbe negletta l’analisi del sistema democratico inteso come un insieme formato da parti che presentano a loro volta dei meccanismi sociali di mediazione. Per coloro che guardano la politica dal vertice, le modalità dell’ agire della società civile e i modi di formazione della cultura democratica al suo interno hanno poca rilevanza; personalmente, reputo invece necessario prendere atto dell’ importanza delle modalità di organizzazione dei singoli, cosí come della creazione di alcuni valori e della loro trasmissione.

Uno dei più importanti studiosi dell’associazionismo, Mark Warren, ne ha rilevato una dimensione culturale, caratteristica della democrazia moderna, como segue: “La caratterizzazione della democrazia rappresentativa è in rapporto diretto con la caratterizzazione della società in cui s’inserisce, e in particolar modo con la ricerca delle virtù civili, grazie alle connessioni societarie. La democrazia deve aver coscienza - come si è siemrpe preteso - del concetto d’autogoverno, espresso tanto nella vita di società come nella cultura civile che ne deriva.”[1]

Riconosciamo fin da principio che la chiave di volta dell’ associazionismo democratico si trova nel suo carattere educativo e nella costruzione di una fiducia di base tra i suoi membri, che permette loro una cooperazione: “La fiducia rende gli individui capaci di risolvere problemi sorti dall’agire collettivo, il che, a sua volta, li rende capaci di organizzazione politica e di far pressione sul governo, in modo che le cose siano fatte per favorire il funzionamento della democrazia”[2]

Un altro elemento che contraddistingue la democrazia moderna - e che qui bisogna sottolineare - è il suo tratto pluralista. Infatti in essa è presente lo Stato - come unità politica-, ma anche una miriade di gruppi civili, come, d’altronde, è stato anche detto da tutti gli autori che si sono occupati della nascita della moderna società civile - da Hegel a Tocqueville - e che hanno dato testimonianza di questa contraddizone, che è allo stesso tempo complementarietà, tra la pluralità civile e l’unitá politica, tra le particolarità e l’universale, la soggettività e l’obbietività, le contraddizioni e la conciliazione, tra le parzialità e l’integrazione. È questo uno dei tratti che distinguono la democrazia dei moderni da quella degli antichi. È come se si dicesse che, se da una una parte la democrazia degli antichi si trovava in esculsiva nell’ambito politico, quella dei moderni si è invece estesa fino al terreno civile, nel quale convive con la sfera politica e ne è complementata.

Per ciò che riguarda il “pluralismo democratico”, che è uno degli argomenti che hanno generato maggiore confusione, bisogna chiarire che la pluralità, in queste circostanze, non equivale a frammentazione, e che, anzi, questo pluralismo democratico presuppone un’ampia gamma di organizzazioni, in rapporto fra loro grazie a grandi reti di interazione. Allo stesso tempo, queste associazioni agiscono all’ interno di un certo ordine politico-costituzionale, mentre invece la frammentazione può portare, in extremis, alla rottura tanto dell’ assetto legale come dell’unitarietà del potere pubblico: questo è il seme del separazionismo, tanto di moda ai nostri giorni. È, questo, un fenomeno che quasi sempre si accompagna all’ intenzione di formare “monadi” - entità isolate - che rifiutano qualsiasi rapporto con altri gruppi. Si tratta, in questo caso, di una “società incivile”, che contesta le regole e i valori propri della democrazia liberale. Sono movimenti autonomisti, che d’abitudine si autoproclamano “democrazie diverse”, o democrazie più “avanzate” rispetto alla democrazia di tipo costituzionale... come se non avessimo avuto un sufficente esempio nell’esperimento politico leninista, che ha chiamato se stesso “mille volte superiore alla democrazia borghese” .

Il pluralismo democratico invece fa spazio alla possibilità, per gli individui, di appartenere a più di una organizzazione (è poliascrittivo), dalla quale si può entrare e uscire senza troppe restrizioni. Come hanno detto Nancy L. Rosenblum e Robert C. Post: “Un altro aspetto rilevante di una società civile fluida è che uomini e donne si uniscono, d’ abitudine, a più di un gruppo; l’ adesione è plurale. L’ appartenenza a un gruppo si sovrappone ed entra in conflitto. Quindi, oltre ad avere una struttura plurale, la società civile di tipo fluido permette agli individui di avere un’esperienza di pluralismo”[3]. La frammentarietà, invece, annulla la permeabilità e lega (link) gli individui a gruppi chiusi (monoascrittivi), di grande somiglianza con i tipi feudali. In conseguenza, uno dei problemi più pressanti creati dal pluralismo monoascrittivo, per la sua stessa natura, è la tendenza a produrre conflitti, proprio perchè si autoafferma per mezzo del rilievo dato alla propria individualità, e in contrapposizione ad altre, siano queste reali o fittizie.

Il pluralismo associativo proprio della società civile ha come base, invece, la libertà di associazione, e quindi, “Qualora la libertà di associazione fosse impedita, la società civile ne sarebbe frammentata, e diverrebbe una serie di adesioni ascrittive inalterabili, che possono essere definite dall’ ereditarietà, l’identità tribale, la razza, l’etnia o la casta. Una società plurale che dia autonomia solo ai gruppi, e non agli individui, perde la sua capacità normativa come società civile”[4]; lo spirito della pluralità ha nei suoi intenti l’insegnare agli individui a convivere all’interno delle diverse forme d’associazione. Come è stato rilevato dagli studiosi del pluralismo democratico, si può trovare facilmente un accordo sul realizzare azioni concrete, per esempio, per la costruzione di un’autostrada o di un deposito di resuidui tossici, o per cercare di ridurre il riscaldamento globale, e per raggiungere questo obbiettivo possiamo associarci con altre persone, anche se queste appartengono ad un’ altra razza, religione, nazionalità, impiego, etnia, ecc. Invece, l’impulso tribale-comunitario si incentra verso una sola identità, e quindi, volendo sottomettere il comportamento degli associati a una sola norma di condotta, tende a metter freno alle azioni collettive che abbiano una gettata più lunga di quella, per cosí dire, “entro casa”[5].

La differenziazione tra la sfera civile, economica e politica nell’ interagire è permessa dal pluralismo democratico, a beneficio delle attività e istituzioni, che “possono essere calibrate partendo dai loro criteri intrinsechi (l’arte a favore dell’arte, la produzione per la risposta ai bisogni, il matrimonio per il bene dell’intimità, la ragion di Stato, ecc). Questi, a loro volta, possono essere comparati e confrontati con altri criteri: questo è un vantaggio per gli individui, che acquisiscono cosí la possibilità di adottare una prospettiva critica e alternativa, che non sarebbe possibile in comunità indifferenziate od onnicomprensive”[6]. È proporio grazie a questa distinzione tra le sfere che le associazioni possono avere una vita propria, senza essere “colonizzate” dal potere o dal denaro, e possono anzi sviluppare meccanismi di controllo e supervisione per le attività aziendali e statali.

Visto che si è chiamato in causa il concetto di società civile, bisogna risaltare in primo luogo che si tratta di un concetto ambiguo, che è stato adattato a interpetazioni dispari e a volte contraddittorie. Dopo un lungo periodo di disuso, il concetto di società civile è tornato in voga come conseguenza del subbuglio generato da quei movimenti popolari che hanno finito per portare al crollo del comunismo nei paesi dell’Europa dell’ Est. Per esempio, Ernst Gellner afferma che “la turbolenza in Europa orientale, che ha trovato il suo punto massimo nei drammatici fatti del 1989, ha anche portato con sé il forte risorgimento d’interesse nei confornti della nozione di società civile”[7]. A questi commenti si può aggingere altresí l’opinione di uno dei pionieri della ricerca in merito, John Keane, che indica che l’interesse attuale nei confronti della società civile è perfino maggiore a quello originario, caratteristico dell’età della sua nascita e maturazione, tra il 1750 e il 1850[8]. Questo ritorno del concetto di società civile è unito al bisogno di precisare i suoi contenuti, per cui è necessario abbandonare l’ abitudine di prenderla come categoria residuale, entro la quale è fattibile depositare tutto ció che non trova spazio entro l’economia o la politica.

Infatti, alle origini della filosofia politica moderna, il concetto di società civile è arrivato in ritardo nel suo differenziarsi dalle altre sfere: e, più specificamente, la scuola del diritto naturale l’ ha sovrapposta alla società politica. Per esempio, nel capitolo VII del Secondo saggio sul governo civile, pubblicato nel 1690 assieme al Primo saggio, John Locke ha reso equivalenti “civile” e “politico” (civitas e polis); infatti, significativamente, questo capitolo ha per titolo “Della società politica o civile” (Of Political or Civil Society)[9].
Nel suo far coincidere la società civile con la sfera economica, Marx si trova nel caso opposto; l’estratto d’obbligo in merito si trova nella Prefazione del Contributo per la critica dell’ economia politica, del gennaio del 1859, nel quale si dice che, dopo uno studio critico di Hegel e, in special modo, del suo concetto di società civile, si deduce che i rapporti giuridici, politici e culturali, cosí come le diverse forme dello Stato, possono essere spiegate per se, e che hanno quindi origine nelle condizioni materiali. In Marx il vero motore della storia non puó trovarsi nella sovrastruttura (giuridico-politica e ideologica); la causa efficente della vita materiale deve invece essere cercata nei rapporti di produzione (società civile).

A dire il vero, Hegel, già prima di Marx, aveva contraddistinto “civile” (civitas) da “politico” (polis): la sua distinzione teoretica è in rapporto con il fenomeno che è stato da lui pensato come il tratto caratteristico del mondo moderno, e cioè la separazione della sfera politica da quella civile. È, questo, un fenomeno non riscontrabile negli stadi precedenti dell’evoluzione dell’uomo (“la scoperta della società civile appartiene al mondo moderno”). Ed è anche vero che i giusnaturalisti hanno dato il primo passo quando è stata effettuata la separazione concettuale tra la barbarie (stato di natura) e la civiltà (stato civile). Rousseau, in particolar modo, ha portato avanti con grande efficacia il distinguo fra la società civilizzata e lo Stato politico; e questa separazione, precisamente, è servita a Hegel come un primo scalino verso la differenziazione del momento politico da quello civile. Come, con molto acume, è stato detto da John Rawls, “Hegel ha mostrato la sua versione della società civile come un fatto di grande importanza; questo lo distingue da altri autori. La società civile, come è stata da lui pensata, era nuova per lo Stato moderno ed era una delle caratteristiche della modernità”[10].

È forse opportuno precisare che il sistema hegeliano non è formato da una dicotomia - come invece il sistema del diritto naturale - ma da una tricotomia, e cioè dalla famiglia, la società civile e lo Stato, come i tre elementi della eticità (Sittlichkeit). A sua volta, il concetto di società civile è composto da tre elementi essenziali: 1) la mediazione fra le esigenze e la soddisfazione del bisogni materiali del singolo, per mezzo del lavoro, il sistema delle necessità; 2) la realtà dell’ universalità della libertà, che è contenuta nella protezione alla proprietà, che si ottiene per mezzo della amministrazione della giustizia 3) la prevenzione delle contingenze esistenti nei due sistemi precedenti, e l’attenzione verso l’interesse dei singoli, perchè questo costituisce anche un interesse comune, detto polizia; in modo generico, quest’ultimo può essere assimilato alla pubblica amministrazione; nella terza parte si parla anche delle corporazioni: queste, a grosso modo, antecedono le organizzazioni civili, che matureranno posteriormente.

In funzione di quello che si esporrà nelle seguenti pagine, è importante anche spiegare l’osservazione effettuata da Axel Honneth, il quale rileva che, già dagli scritti di Jena, Hegel ha voluto distinguere la comunità pre-riflessiva, nella quale i vincoli di solidarietà sono prodotti dalla tradizione e non soggetti ad esame critico, dall’integrazione sociale, basata sulla formazione etica della coscienza individuale[11]. È cosí come la società moderna in Hegel trova il proprio punto primigenio nell’ individuo. Per lui, l’individuo singolo è il principio fondamentale della società civile. Bisogna mettere in rilievo lo schema generale dello spirito obbiettivo in Hegel, e specialmente la forma di composizione della società civile, perché la sua concettualizzazione, come è pervenuta fino a noi, è in rapporto col punto di vista assunto da Marx, che ha centrato la propria attenzione verso la sezione del “sistema delle necessità”.

Uno dei maggiori contributi per lo studio della società civile è stato dato da Gramsci. La novità da lui introdotta nel pensiero marxista è stata includere la società civile entro la sovrastruttura, e quindi al di fuori dell’ ambito dell’economia. In un brano dei Quaderni dal carcere, Gramsci afferma che “Si possono, por ora, fissare due grandi 'piani' superstrutturali, quello che si puó chiamare della 'societá civile', cioé dell'insieme di organismi volgarmente detti 'privati' e quello della 'societá politica o Stato' e che corrispondono alla funzione di 'egemonia' che il gruppo dominante esercita in tutta la societá e a quello di 'dominio diretto' o di comando che si esprime nello Stato e nel governo 'giuridico'."[12] A livello di superstruttura, il Nostro effettua una distinzione fra la società civile e la società politica, che coincidono conñ’egemonia culturale la prima, e con la coercizione la seconda. Tutto questo non implica che Gramsci lavori solamente lungo questa direzione, lasciando indietro il binomio formato dalla struttura e la sovrastruttura: bisogna dire, invece, che riflette su due dicotomie, e cioè, da un lato, la società civile e la società politica, e dall’ altro la struttura e sovrastruttura. Questo particolare orientamento è riscontrabile nella serie di coppie che ne deriva: quando fa riferimento all’antagonismo società civile - società politica richiama le opposizioni consenso - forza, persuasione - coercizione, egemonia - dittatura, direzione - dominio, e invece, nell’ analizzare la differenza fra struttura e sovrastruttura, ne distingue l’istanza economica da quella etico-politica, come anche le dicotomie bisogno - libertà, obbiettività - soggettività[13].
Infatti, i nostri giorni, con il loro rinnovato interesse verso la società civile, sono caratterizzati anche, a nostro parere, da un recupero del pensiero di Gramsci, perchè in esso il momento di coesione all’ interno della società civile si trova nella trasmissione di credo e nella formazione di organizzazioni e di volontà collettiva. Ed è da questo punto di vista che concepisce periodi storici durante i quali i gruppi al potere giungono a stabilire un’egemonia culturale, mente che durante altri questa vien meno. Cosí, anche, è come inizia una crisi che può portare a verso una trasformazione ascendente o verso una degenerazione. Ê quindi proprio all’ interno della società civile che si definisce il destino dei cambiamenti d’epoca. Per il fondatore del PCI, l’organizzazione della società in modo autonomo e la conquista delle coscienze costituivano il punto di partenza delle trasfomazioni politiche ed economiche; A questo riguardo, Simone Chambers afferma: “Oggigiorno, la teoria critica ereditiera di Gramsci e del neo-marxismo concecpisce la società civile come una sfera di formazione dell’ integrazione sociale e della riproduzione culturale, e, anche se i rapporti economici e lo Stato giocano un ruolo al loro interno, questo deve essere, o dovrebbe essere, come un aiuto e non un ruolo di comando" [14].

Pur senza sottoscrivere la proposta rivoluzionaria gramsciana, ma nella stessa linea di pensiero, la gran maggioranza degli autori che analizza la società civile nell’attualità, ne ha enfatizzato, in modo più o meno consapevole, la distinzione tra le sfere, e cioè fra la politica, la società civile (in cui si creano e modificano la cultura e gli usi) e l’economia. Vedasi, per esempio, la definizione che ne da Benjamin Barber:
La società civile, o spazio civico, occupa un posto medio tra il governo e il settore privato: non è dove si vota, e neppure è dove si compra o vende; è, invece, dove si parla con il vicino di casa della sicurezza reciproca, dove si progettano i benefici per la comunità scolastica, dove si discute il modo in cui la chiesa, o la sinagoga, puó dare aiuto ai bisognosi oppure organizzare un torneo estivo per i bambini. In questo ambiente si diventa “pubblici”, e si divide con il governo il senso della pubblicità e l’interesse per il bene generale della repubblica. Però, e a differenza del governo, non si richiede d’ avere il monopolio della coercizione fisica legittima; anzi, è in questo ambiente dove si lavora volontariamente e in cui, proprio in virtú di questo, si abita un terreno privato dedicato alla collaborazione (non coercitiva), che è diretta verso la produzione di beni pubblici. Questo spazio di avvicinamento e di collaborazione della società civile ha in comune col settore privato il bene della libertà, perchè è volontaria e costituita da individui e gruppi liberamente associati; d’ altra parte, e a differenza dal settore privato, ha come obbiettivo creare modi d’azione basati su un terreno comune di consenso (e cioè, d’integrazione e collaborazione). Quindi la società civile è pubblica senza essere coercitiva, ed è volontaria senza essere privatistica; al suo interno si trovano istituzioni come le fondazioni, le scuole, le chiese, le associazioni di interesse pubblico e le associazioni di volontariato civico. Anche i media formano parte della società civile, sempreché assumano seriamente le loro resposabilità pubbliche, e subordinino gli appetiti commerciali agli obblighi civili.”[15]
È quindi evidente che la società civile non può rimanere semplicemente un’istanza sistematicamente opposta al mercato o allo Stato, e che invece deve interagire nella vita economica e la vita pubblica, senza perarltro confondersi con nessuna delle due.
La partecipazione in associazioni civili, come diceva Alexis de Tocqueville, precursore tanto dello studio della società civile come dell’associazionismo, è la scuola elementare della democrazia: è lì che si imparano i primi rudimenti del governo popolare, lí si fa pratica di tolleranza, di moderazione, di impegno sociale e di rispetto verso il punto di vista altrui; allo stesso modo, è lì dove si fa il contatto d’inizio con la formazione di consenso e il rispetto verso il dissenso.

Appare qui una vera e propria novità rispetto a quei gruppi premoderni che subordinavano l’individuo ai dettami della collettività: le associazioni moderne infatti rompono con l’eredità autoritaria, producendo così un’autonomia dell’individuo. Questo continua ad essere il loro scopo di base: individui liberi in libere associazioni, o, per dirlo in altre parole, insieme alla libertà d’associazione si è conquistato anche il diritto di dire “no” all’ associazione stessa.

Come ha notato Mark Warren, è stato Tocqueville a stabilire uno stretto rapporto fra associazionismo e democrazia, ed si tratta di un vincolo stabilito dalla formazione delle cosiddette “associazioni secondarie”. Cito: “È stato Tocqueville ad arricchire il concetto moderno di associazione... In particolar modo, le associazioni secondarie possono integrare e socializzare, e generare in questo modo relazioni capaci di rimpiazzare le forme associative del corporativismo gerarchico, grazie a vincoli di tipo orizzontale. L’individualismo anomico può esistere quando le gerarchie corporative definite dagli Ordini sociali feudali vengono sostituite solo da associazioni di tipo primario, di amici o famigliari. Per contrasto, le associazioni secondarie sottraggono gli individui ai loro legami primari, e cosí rendono possibili le azioni benefiche collettive, ed anche il coltivare una sensibilità etica dell’ “autointeresse bene inteso”, che porta gli individui a rendersi conto della loro interdipendenza, in senso amplio.”[16] Il campo di studi di Tocqueville era la società statunitense, dove i coloni arrivati dall’ Europa dovevano avvalersi della forza e dell’ astuzia per sopravvivere, e dove, in mancanza di un governo preesitente, era necessario agire partendo dalle basi stesse dei gruppi di emigranti. L’autogoverno civile fu cosí la forma di governo più comune, e anche la piú sicura. Evidentemente, una solida base sociale è il modo più propizio per dare un sostegno reale a un governo democratico, ed è questa la natura de la democrazia del Stati Uniti d’ America: Lì la società opera da sè. Non c’è altro potere. Il popolo fa le leggi, per mezzo dei suoi legislatori, e partecipa anche al governo stesso. Diverse volte e anche in diversi momenti Tocqueville afermò che il popolo dirige il mondo americano come Dio lo fa con l’universo: lui è causa e fine di tutto, tutto proviene da lui e tutto si riassorbe nel suo grembo.

Tra gli autori più vicini al retaggio di Tocqueville, e quindi a quello liberale, si trova Robert D. Putnam che - in Making Democracy Work - ne mette in risalto l’acutezza nel definire l’ associazionismo come uno degli aspetti di maggior rilievo della democrazia moderna; come rinforzo alla propria tesi sul rapporto tra la democrazia e l’associazionismo, fa anche riferimento al testo di A. Almond y Sydney Verba, Civic Culture. Questi ultimi, dopo una compilazione empirica ricavata da fatti raccolti in quattro nazioni diverse, arrivano alla conclusione secondo la quale “i membri di un’associazione mostrano una maggiore sofisticazione politica, una fiducia sociale, una partecipazione politica ed una “competenza civica soggettiva”. La partecipazione in organizzazioni civili sveglia abilità cooperative, come anche il senso di una responsabilità condivisa, che permette di realizzare sforzi collettivi.”[17] Questo senso civico forma un circolo virtuoso, perchè è propizia, all’interno de la società civile, alla nascita di un’estesa rete di organizzazioni, volte a stabilire una collaborazione efficace.
In un altro studio comparativo, in questo caso fra paesi del primo mondo e paesi in via di sviluppo, Milton Esman e Norman Uphoff concludono che l’ elemento che permette di arrivare ad un alto grado di produttività economica è la formazione di associazioni di produttori su una base di fiducia reciproca:
Una vigorosa rete di organizzazioni basate sull’ appartenenza a gruppi è essenziale in uno sforzo serio che abbia come obiettivo superare l’ estrema povertà, nelle condizioni tendenzialmente prevalenti nella maggior parte dei paesi in via di sviluppo... Mentre sia necessario qualcuno di questi elementi - investimento in infrastruttura, politiche pubbliche di supporto, tecnologie appropriate e istituti burocratici e industriali -, non potremo vedere una strategia di sviluppo agricolo che combini l’aumento della produttività con la maggiore distribuzione possibile dei proventi, in assenza di un predominio, al suo interno, delle organizzazioni locali di partecipazione.[18]

Questa affermazione di Esman y Uphoff coincide pienamente con i risultati ottenuti da Banfield nel suo studio sulla povertà estrema in Montegrano (It.):
La miseria e le sue conseguenze sono spiegabili (anche se non in modo esauriente) dalla mancanza di capacità, fra la popolazione del luogo, di muoversi verso il bene comune, e comunque verso qualsiasi fine que vada oltre l’interesse materiale immediato del nucleo famigliare.”[19]
È nel contrasto intregrazione/disintegrazione che troviamo quindi una spiegazione parziale del progresso o del ritardo sociale. Infatti, da una parte Esman e Uphoff affermano che le reti di fiducia, collaborazione, partecipazione e fedeltà al gruppo sono un fattore di sviluppo, e dall’altra Banfield conclude che la mancanza d’ interesse nel sommare sforzi individuali per giungere a risultati collettivi finisce per produrre povertà. Ed è proprio la presenza o la mancanza di collaborazione tra persone quella che porta Putnam a parlare di un “capitale sociale”.
Per illustrarne il contenuto, richiama le idee di due dei padri del liberalismo, Tocqueville e Stuart Mill: “Ha importanza, per il nostro progetto, il fatto che i recenti lavori attorno al capitale sociale si facciano eco delle tesi dei teorici del pensiero classico, come Alexis de Tocqueville e John Stuart Mill, nel senso che la democrazia dipende, in sè, dall’ impegno attivo dei cittadini nei fatti della comunità.”[20]. Putnam ha svolto la sua ormai famosa ricerca - durata quasi 25 anni - sulle riforme istituzionali dell’Italia degli anni ‘70, che ha dato come risultato, precisamente, Making Democracy Work. Il fine di questa ricerca è stato, appunto, conoscere il modo nel quale gli organi di governo si adattano agli ambienti sociali entro i quali agiscono. Putnam ignorava tanto il panorama che lo attendeva come i possibili risultati del proprio studio, e la sua conclusione è stata sorpendente: un rapporto diretto tra le “regioni civiche”, ricche e sviluppate del Nord - come l’Emilia Romagna - e la presenza di capitale sociale. Per contrasto, i gruppi “meno civici” del Sud - come la Basilicata - sono contraddistinti dall’ assenza di questo capitale sociale: “I cittadini delle comunità civiche, si dice, trattano gli uni con gli altri in termini di giustizia, ed aspettano lo stesso. Fidano che i loro governi raggiungano alti livelli d’efficenza, e ubbidiscono in modo volontario alle leggi che loro stessi si sono dati... Invece, nelle comunità meno civiche, la vita è in pericolo, i cittadini sono sospettosi, e le leggi, create dall’ alto, sembrano essere fatte per essere infrante.”[21] Nelle prime comunitá l’onestà è una caratteristica dominante, cosí come la corruzione lo è tra le seconde. Nel Nord della penisola i rapporti economici e di potere sono egualitari, nel Sud si tratta invece di rapporti gerarchici e di tipo clientelare. Nel primo caso l’ordine pubblico è garantito dall’ osservanza volontaria della legge; nell’ altro, l’ “ordine” è dato dall’ uso continuo della forza, tanto privata come pubblica: “Davanti all’ assenza di solidarietà e di autodisciplina, le gerarchie e la forza costituiscono l’unica alternativa all’ anarchia.”[22]

Il termine “capitale sociale”, inteso come l’insieme di reti e di norme associative in reciprocità, è un concetto usato con frequenza dalle scienze sociali, dalla politica e anche dagli organismi internazionali, che ne fanno un uso crescente nella loro intenzione di favorire lo sviluppo economico. Bisogna però dire che poche persone ne conoscono le origini. Putnam, professore ad Harvard, nella sua opera Democracies in Flux (The Evolution of Social Capital in Contemporary Society) ha dilucidato l’enigma del seme originario del concetto, trovandolo nel pensiero di L. Judson Hanifan. Questi, un giovane pedagogo, fu un riformatore sociale educato presso le migliori università degli Stati Uniti, che scelse di ritornare alla sua natale West Virginia e di lavorare al miglioramento del sistema scolare dell’ambiente contadino. Si convinse, con l’andar del tempo, che i gravi problemi sociali, economici e politici di queste comunità potevano essere risolti solo per mezzo del rafforzamento delle reti di fiducia fra i consociati; aveva osservato anche che le abitudini di aiuto mutuo fra gli uomini di campagna e l’impegno civico erano caduti in disuso: tutto queso ha portato ad un isolamento delle famiglie e a una stagnazione nei gruppi.

È questa la stessa preoccupazione manifestata da Hanifan nel 1920, in Community Center, dove sollecita rinnovare i legami tra le associazioni civili, per rinforzare la democrazia e lo sviluppo dell’ economia. È stato questo autore a coniare il termine “capitale sociale”, che ha spiegato come segue:
Quando faccio uso del termine “capitale sociale” non faccio riferimento all’accezione comune della parola “capitale”, se non in senso figurato. Non faccio allusione a nessun bene pecuniario, ad una proprietà personale o a soldi in contanti, bensí a quello che, nella vita quotidiana delle persone, è peraltro una materia tangibile, che ha un valore. E si tratta perciò della buona volontà, lo spirito di corpo, la simpatia, i rapporti sociali fra individui e famiglie, che costruiscono un unità sociale... L’ individuo, in termini societari, se è lasciato solo è senza protezione... Invece, se entra in contatto con un suo vicino, e questi con altri vicini ancora, ha luogo una accumulazione di capitale sociale, che gli permetterebbe di soddisfare inmediatamente i suoi bisogni sociali, e che forse porti anche con sè la capacità necessaria per un miglioramento fondamentale delle condizioni di vita della società nel suo insieme.[23]
Hanifan enfatizza i benefici, tanto individuali come collettivi, che potrebbero trarsi dal capitale sociale, perchè, dal suo punto di vista, la società, intesa come insieme, potrebbe ottenerne un vantaggio, proveniente appunto dalla collaborazione dei suoi singoli componenti. Allo stesso modo, il singolo potrebbe trovare, nell’ associarsi, vantaggi come l’aiuto degli altri, la simpatia, la solidarietà reciproca: “Quando gli individui di una certa comunità si sono conosciuti a sufficienza ed hanno generato l’abitudine di incontrarsi a volte, per divertimento, interazione sociale o piacere personale, può succedere, al sopravvenire una leadership, che questo capitale sociale sia indirizzato verso l’ aumento generale del benessere nella comunità.”[24] È per queste ragioni che bisogna chiarire che, quando si parla di capitale sociale, non si tratta di un bene quantificabile - anche se Putnam usa a volte alcune variabili empiriche per rinforzare i propri argomenti -; come egli stesso afferma, “se concepissimo la politica come un’azienda, forse ne godremmo la nuova efficienza, che le consente di risparmiare lavoro; ma se la pensiamo come una delibera democratica, non includervi la gente sarebbe perdere tutto il senso dell’ argomento.”[25]
In Putnam troviamo quindi un continuum fra l’associazione e la deliberazione, che ha come fine costruire e dare sostegno alla democrazia. Non esiste rivalitá fra quest’ultima, nella sua modalità associativa, e quella deliberativa, come invece appare attualmente nel dibattito tra i due poli di due diverse scuole di pensiero.

Come si può desumere dalle tesi sopra esposte, gli scritti di Robert D. Putnam adottano una posizione tutta particolare nella polemica tra liberali e comunitari. Infatti, questo autore riconosce che il pensiero politico e sociale contemporaneo si basa sulla distinzione fatta da Ferdinand Tönnies (Gemeinschaft und Gesellschaft) tra rapporti tradizionali e rapporti moderni: “Il pensiero sociale contemporaneo ha ripreso dal sociologo tedesco del XIX secolo, Ferdinand Tönnies, la distinzione fra Gemeinschaft e Gesellschaft, e cioè tra una comunità di tipo tradizionalista, personalizzata, in piccola scala, caratterizzata da un’interazione basata sull’ universale senso di solidarietà, e una società moderna, razionalista e impersonale, che trova sostegno nell’ interesse del singolo.”[26] Secondo Putnam, questa dicotomia implicherebbe l’impossibilità di parlare di una “comunità civica” - termine di uso frequente nelle sue opere - perchè, d’ accordo a una concezione fra le più diffuse, “comunità” è semplice ed arcaico, mentre invece “civile” implica complessità e modernità.

Secondo Tönnies, la comunità è un’ unione modellata dalla consanguineità e dall’ esistenza di forti legami affettivi. Può anche essere definita dal fatto che, da tempo immemorabile, al suo interno si condividono gli stessi luoghi, una stessa lingua, le stesse abitudini. Per contrasto, la società nasce da motivazioni razionali e impersonali quando la vita in gruppo diventa più complessa e movimentata: La Gemeinschaft (comunità) è antica; la Gesellschaft (associazione) è nuova. Una è rurale, l’altra è urbana. La prima è semplice, la seconda è complesa. La vita comunitaria si svolge in continuo contatto con la terra, nell’ ambito delle parentele e sotto la guida di una autorità naturale, stabilita dalle tradizioni; la vita sociale invece, si sviluppa nell’ ambito di un’ economia commerciale e industrializzata che va oltre i nuclei tribali e si basa su un’ autorità che nasce dal diritto statutario.
Davanti a questa apparente impossibilità di conciliare i due concetti - comunità e società - Putnam afferma che lo spazio vuoto creatosi può essere colmato tanto da antiche forme di integrazione tribale e di sottomissione inmmediata e acritica davanti all’ordine ereditario, come dalla moderna agglomerazione, con la sua tecnologia avanzata ma disumana, che porta all’ abulia civica e all’ egoismo.
Lo stesso autore ha osservato che, in Italia, le comunità meridionali hanno dimostrato essere quelle meno sviluppate, e sono precisamente quelle segnate dalla gerarchizzazione, la violenza e lo sfruttamento. In Calabria, per esempio, non esiste una fiducia civica, e nemmeno un numero rilevante di associazioni della società civile che facciano fronte ai poteri di fatto. Invece, in Emilia Romagna succede tutto il contrario: è un luogo attivo, molto popolato ed è anche una società tecnologica fra le più sviluppate del mondo; nella regione, il senso di collaborazione prende forma in una enorme quantità di reti d’associazione, al che corrisponde anche un forte spirito pubblico e d’impegno civico.
Secondo il parere di Putnam, l’esempio dell’ Emilia Romagna porta a confermare che la “comunità civica” può effettivamente esistere unita alle caratteristiche proprie della modernità, e tenendo in mente questa qualità, afferma che “Le regioni più civiche in Italia - e cioè le comunità nelle quali l’individuo sente una forza che gli permette di partecipare ai dibattiti collettivi sulle alternative pubbliche, nei quali queste opzioni diventano più compiutamente politiche pubbliche effettive - sono alcune delle località e città più moderne della penisola. La modernizzazione non ha bisogno di far naufragare la comunità civica.”[27]
Dove fiorisce l’integrazione sociale esistono anche - solo per fare qualche esempio - molti club di calcio, di escursionismo, gruppi corali e anche Rotary Club. Si leggono più giornali. I cittadini manifestano un maggiore impegno per risolvere problemi di pubblico interesse, e non concepiscono la politica come quell’ insieme di rapporti di subordinazione personale que condannano l’individuo a essere un minorenne in permanenza. I cittadini credono invece nel governo democratico, e sono disposti ad arrivare a compromessi con i propri avversari politici. Tutto questo grazie anche ai buoni rapporti fra cittadini e leaders: “Le reti sociali e politiche sono organizzate orizzontalmente, e non in modo gerarchico. La comunità valorizza la solidarietà, l’impegno civile, la collaborazione e l’onestà. Il governo funziona.”[28]
C’è un divario profondo con quelle che Putnam chiama “comunità incivili”, dove la vita pubblica è organizzata in maniera patrimoniale. Lì la nozione di cittadinanza è squallida, e il punto di vista del pubblico sugli affari pubblici è che, in realtà, si tratta di affari dei potenti, senza che rivestano un vero interesse per il singolo. Poche persone partecipano ai dibattiti sul pubblico benessere; anzi, se pure è possibile parlare di partecipazione politica, questa è intesa come dipendenza personale verso qualche gerarca, senza che per questo costituisca un proposito della collettività. I legami con associazioni di tipo sociale sono scarsi. Quindi, in consonanza con questa mentalità, si parla anche sdegnosamente dei principii propri della democrazia. Nel pensiero dei singoli, le leggi sono state fatte per essere infrante e, come nello stato naturale spinoziano, “chi ha più potere ha più diritto”. Così, imprigionati in questo circolo vizioso, gli individui si sentono esposti, sfruttati e infelici.[29]
Riflettendo sull’ idea di comunità civica di Putnam dobbiamo dire che, se ci si può attenere alla definizione strictu sensu di “comunità”, che si contraddistingue per la sua omogeneità di usi e costumi, l’osservanza delle tradizioni, l’identificazione razziale e religiosa, come anche da una visione del mondo di tipo magico-teologico, ci renderemmo conto che questa definizione classica ha ben poco in comune con la cosiddetta “comunità civica”. Infatti, a nostro parere, in Putnam troviamo una caratterizzazione moderna della società civile, in cui i legami di integrazione fra gruppi sono messi in risalto, e producono risultati economici e politici tangibili. L’autore ammette l’esistenza di conflitti pacifici come motori di progresso, l’educazione alla democrazia, gli istituti di rappresentanza e la presenza del pluralismo assieme alla separazione della cosa pubblica dalla privata, e tutto questo non potrebbe mai essere accettato da una comunità di tipo tradizionale. Questo argomento rende chiaro che Putnam non può essere incluso nella stessa classificazione di Michael Sandel, Michael Waltzer, Alasdire MacIntyre, Daniel A. Bell e Charles Taylor.[30] Infatti, in essi l’ idea di comunità adotta modalità molto diverse, dalla solidarietà di classe o la priorità data ai diritti pubblici su quelli individuali, all’ identità etnica e culturale. Il comunitarismo, nella sua versione più radicale, si oppone alla filosofia illuminista, alla modernità e allo spirito della democrazia liberale e rappresentativa, soprattutto per quello che si riferisce ai principii di libertà e uguaglianza. Per i comunitaristi, la prevalenza è del gruppo sugli individui.
Quello che, a mio parere, fa distinzione fra Putnam e i comunitaristi di maggiore levatura è l’importanza che questi da all’individuo nell’ associazione, e che in queste pagine è stato mostrato come uno dei fattori centrali della moderna società civile; si tratta dell’ accettazione dell’ individualismo moderno al di sopra di qualsiasi tipo di ascrizione collettiva. Infatti, insieme a quella che chiama - a mio parere erroneamente - “comunità civica” si trova anche il “principio di associazione”.[31] La “comunità civica” potrebbe avere un sinonimo nella “associazione civica”, e sarebbe forse piú illustrativa di quello che si pretende dire parlando di “capitale sociale”: in fin dei conti, il suo interesse non è unirsi al comunitarismo, con le sue rivendicazioni accentrate sui diritti collettivi; al contrario, quello che vuole risaltare é la differenza fra il livello di sviluppo riscontrabile nelle società che hanno caratteristiche civiche e quello dei gruppi incivili. Le prime hanno riscontro nella democrazia, mentre le seconde generalmente, sono state soggette a domini autocratici. La società di tipo “incivile” è in stretto rapporto col patrimonialismo: questi gruppi sono privi, infatti, di un senso di reciprocità orizzontale e di obbligo civico. Putnam sottolinea che, per lui, la differenza di vero rilievo non è quella tra la presenza o assenza di legami sociali, bensì di legami orizzontali di reciproco aiuto o di rapporti verticali di dipendenza e sottomissione.
I rapporti di tipo verticale ai nostri tempi si sono trasformati in clientelismo. Questo è prodotto da una società frammentata; e questa frammentazione di individui li porta a eliminare qualsiasi impegno, ad eccezione di quello che sentono verso il potente, che rende loro possibile avvicinarsi ai beni necessari per il loro sostentamento. Per le persone che vivono in questo stato, il clientelismo diviene un rimedio in una società consunta o anemica, nella quale i rapporti tra individui non hanno basi di fiducia, ma sono semplicemente dettati dalla necessità.
Alla base del clientelismo sussistono rapporti di genere arcaico, che si intrecciano alla presenza di nuovi settori urbani, di un potere ecclesiastico e di una classe politica corrotta. Evidentemente, si tratta di un ambiente favorevole alla riproduzone di un sistema patrimonialista, nei termini in cui è stato descritto da Max Weber: I rapporti tra il signore e il suddito sono regolati secondo gli interessi del padrone. La relazione di dipendenza ha come base la lealtà. Questo rapporto diventa un’abitudine. Il patrimonialismo trova quindi sostegno nella possibilità, per i funzionari, di disporre delle risorse delle pubbliche finanze: infatti, coloro che hanno cariche di una certa importanza sono in posizione di fare e disfare a capriccio per quanto riguarda l’utilizzazione di fondi, servizi, beni mobili e immobili, e perfino delle stesse istituzioni dello Stato. Quello che dovrebbe essere usato per il bene collettivo è alla mercè di questi funzionari, per farne uso privato; sono loro quelli che decidono, arbitrariamente, chi favorire e a chi recare danno, secondo criteri di convenienza e opportunità. A loro interessa, quindi, conservare lo stato di frammentarietà o di stasi della società, mantenedone gli occhi “verso l’alto”, in attesa che da lì arrivi la carità in risposta ai loro bisogni: “la gente teme essere esculsa dal sistema signore-cliente, perchè questo è l’ unico che le assicura la sussistenza insieme ad un’ intermediazione davanti alle distanti autorità statali e a una specie di elementare programma di benessere di tipo privato (pensioni per vedove e orfani ed eventuali “gratificazioni”). Questo è applicato solo quando l’individuo è sottomesso, fedele al suo gruppo e “disponibile” ad ingrossare i contingenti di accompagnatori di cui ha bisogno il padre-padrone.”[32]
L’ esercizio di questa politica arcaica, invece di produrre capitale sociale, genera una specie di “capitale padronale” (questo non è un concetto coniato da Putnam, ma può essere desunto come un opposto al capitale sociale). Lo sforzo fatto da un gruppo o da una società rende succosi dividendi all’uomo che si trovi al centro del potere e alle caste più elevate, ma non all’insieme degli individui inseriti nel sistema.
Un altro indicatore importante nella distinzione tra zone civiche e zone “incivili” è il livello d’istruzione. Si è riscontrato, come una costante, che l’istruzione costituisce uno dei fattori più potenti per l’aumento dell’impegno civico e la formazione di capitale sociale; in parallelo, l’ignoranza e l’alienazione sono fattori propri dell’inciviltà e la mancanza di prospettive a futuro, tanto personale come sociale.
Putnam porta alcuni esempi per illustrare l’inciviltà e la civiltà. Per quanto riguarda il primo aspetto, menziona le comunità in cui le norme contro la diserzione dei propri membri possono arrivare ad essere tanto forti che dei soggetti, sul punto di rompere l’ impegno con il gruppo, hanno preferito vendere le figlie o il suicidio; questo è il caso di alcuni villaggi nigeriani, dove la semplice minaccia di ostracismo -di espulsione dal clan - è sufficiente per mantenerne all’interno le persone. Quanto al secondo aspetto, l’esempio portato da Putnam è Città del Messico, come segue:
Nella diffusa e impersonale società della Città del Messico dei nostri giorni, per contrasto, diventa necessario tessere reti di reciproca fiducia di molto maggiore complessità, per dare sostegno alle casse di risparmio (Rotating Credit Association). Vélez-Ibáñez ha descritto un florido ventaglio di queste casse di risparmio, che si allarga attraverso l’ intera trama sociale; questo un ventaglio ha fondamento sulla fiducia (reciprocità generalizzata e mutua fiducia): “Questi legami di fiducia devono essere diretti o indiretti, e variano in qualità e intensità. In numerosi casi, i membri dipendono dalla fiducia degli altri per poter far fronte ai propri obblighi, dato che questi ultimi hanno poca informazione sulle altre persone che partecipano alla cassa di risparmio. Come ha detto uno degli intervistati, “la fiducia è qualcosa che si dà”.[33]
Sebbene ci si possa rallegrare del fatto che Città del Messico sia ritenuta una località dove sta fiorendo il capitale sociale, è però necessario un maggiore rigore dell’ analisi: il Messico come paese, e come succede anche in Italia, è ancora vittima del sistema patrimonialista. Infatti, la presenza di rapporti del tipo padrone-cliente è innegabile, e perfino preoccupante, perchè, invece di diminuire, sembra accrescersi fino ai vertici del potere. In questi due paesi esiste una lotta fra le forze che cercano il rinnovamento democratico e quelle che sono invece propense alla ricerca di vantaggi di tipo patrimoniale. Per riprendere le nozioni di queste pagine, c’è quindi una lotta fra strati civili e incivili, fra capitale sociale e capitale padronale. Il fatto che il capitale sociale abbia migliori condizioni nel Nord o nel Sud, o che si trovi in certe città piuttosto che in certe altre ha un’ importanza relativa. Ce l’ha, invece, tenere presente il modo in cui si cerca di rinforzare, o di debilitare, in termini complessivi, il rapporto Stato-società; e, da questo punto di vista, è preoccupante che il patrimonialismo sia diventato una modalità dell’ agire politico a tutti i livelli.
Una delle affermazioni di Putnam in Making Democracy Work che mi sembra fra le più solide, e di cui bisogna far menzione, è la seguente: “La fiducia è uno dei componenti essenziali al capitale sociale”[34]. Per logica, la sfiducia è quindi un elemento essenziale del capitale padronale; non si tratta di poli statici: a volte c’è un avanzamento dell’uno, altre dell’ altro. Nel caso del capitale sociale, cresce e si riproduce per mezzo di circoli virtuosi; il punto, peró, è che, come per tutti i tipi di capitale, quello sociale ha vantaggi per le persone che lo posseggono; e cosí tende ad essere distribuito appena sia visto come un bene da tutti quelli che visono coinvolti. I successi di piccola scala entusiasmano le associazioni civiche, che aumentano il loro agire e cercano di risolvere problemi piú grandi per mezzo dell’espansione dei loro campi d’azione. Inversamente, il capitale padronale cresce e si riproduce in circoli viziosi, e, allo stesso modo, mostra vantaggi per chi lo possiede: in questo caso è visto come un bene per il padrone e il suo seguito. In questa situazione, quella che Gramsci ha chiamato lotta per l’egemonia si realizza in condizioni paradossali, perchè si pretenderebbe di ottenere legittimità dalla ripresa di schemi clientelari ormai vecchi, e con questo obbiettivo si utilizzano meccanismi publbicitari altamente sofisticati. Sul versante opposto troviamo le tendenze che lottano per la democrazia, prive di un’ uguale possibiltà di arrivare alle stesse modalità propagandistiche, e che però hanno a loro favore una convinzione ed una forza morale di tutto riguardo. Insomma, esiste una lotta per costruire circoli viziosi e una lotta per stabilirne di virtuosi: e proprio questo due concetti sono portati da Putnam come esempi della contraddizione entro la quale si muovono le comunità civiche y quelle “incivili”, come anche per illustrarne il terreno conteso.
Albert Hirschman ha chiamato “risorse morali” certi modi dell’ agire collettivo, e cioè le risorse que affluiscono, in quantità ogni volta più abbondanti, quanto più se ne fa uso: infatti, quanto più degli individui si danno sostegno mutuo, tanto maggiore è la fiducia reciproca. In corrispondenza, la sfiducia è difficile da sradicare, perchè frena i singoli proprio nel momento in cui cercano di superare una sciagura; è, quindi, il fattore del “bisogno” che li spinge ad essere complici di chi sta al potere: “Una volta detonata la sfiducia, è quasi impossibile determinare se sia stato giustificato o no cadervi; il fatto è che la sfiducia è capace di automaterializzarsi.”[35] Nelle circostanze di un’ ondata reazionaria e anticivile, le risorse morali di cui parla Hirschman diventano, in conseguenza, una lotta di resistenza contro l’ irrazionalità, e un punto d’ appoggio forndamentale per invertire la rotta della degenerazione in atto.

Putnam prende spunto da Antonio Genovesi, un economista napoletano del secolo XVIII, nella sua dimostrazione grafica della mancanza di fiducia come fattore che agisce contro lo sviluppo politico ed economico. Senza la fiducia, i contratti mancano di certezza, e, per estensione, la legge manca di forza. In simili condizioni - afferma Genovesi - la società è ridotta a uno stato semiselvaggio, e l’ economia avrà tendenza, presto o tardi, a risentire gli effetti del ritardo politico. Per contrasto, la fiducia è l’ elemento che per eccellenza ha dato sostegno al progresso economico e all’onesto agire del governo. La collaborazione può nascere nei terreni più diversi: tra il potere legislativo e l’ esecutivo, fra i lavoratori e gli impresari, fra partiti politici, fra il governo e i gruppi privati. “La fiducia lubrifica la collaborazione. Quanto maggiore il livello di fiducia all’ interno di un’ associazione, maggiore sarà anche la probabilità di ottenere collaborazione; quest’ ultima, a sua volta, nutre la fiducia. L’ accumulazione continua di capitale sociale è una parte vitale della storia, che anticipa il circolo virtuoso dell’ Italia civica.”[36]
A questo punto emerge una domanda alla quale manca ancora risposta: quale potrebbe essere il modo di creare il circolo virtuoso che è proprio del capitale sociale? La risposta di Putnam è che qualsiasi società, sia moderna che tradizionale, autoritaria o democratica, feudale o capitalista, è caratterizzata dall’ esistenza di una rete comunicativa nei rapporti, che può essere formale o informale. Alcune reti sono “orizzontali”, perchè mettono in contatto persone di uno stesso status e potere; altre invece sono di tipo verticale, e mettono in rapporto personaggi di rango asimmetrico, che stabiliscono legami gerarchici di dipendenza. Partendo da questa differenza si osserva che il capitale sociale ha tendenza a fiorire sopratutto nei rapporti di tipo orizzontale, che sono anche distinguibili grazie al loro alto livello di reciprocità.
A questo proposito, Putnam distingue due tipi di reciprocità. La prima è quella che chiama bilanciata o specifica, e l’ altra è generalizzata o diffusa: “La reciprocità bilanciata fa riferimento a uno scambio simultaneo di oggetti di valore equivalente, come succede quando alcuni colleghi si scambiano regali, o i legislatori, quando si mettono d’accordo per far passare un’iniziativa di legge. La reciprocità generalizzata, invece, fa riferimento a un rapporto continuo di scambio, che, ad un certo punto, non è richiesto, o non è bilanciato, e che però implica aspettative reciproche, in quanto sarà ricompensato da un sicuro beneficio futuro.”[37] La questione, insomma, è che la reciprocità generale diventa un componente altamente produttivo del capitale sociale.
La norma della reciprocità generale è di utilità per conciliare l’ interesse del singolo con l’ interesse collettivo. L’ altruismo disinteressato, presto o tardi, può essere ricompensato da una azione che produca un beneficio diretto o indiretto: c’ è un proverbio che dice “oggi a me, domani a te”. Se quest’ idea si ripete e prende piede in una rete di scambi, l’ associazione, e con lei i suoi membri, ne trarrá beneficio. Se questo, a sua volta, diviene una pratica quotidiana, il risultato sará la sua interiorizzazione nell’ individuo e quindi la sua incorporazione nella pratica quotidiana di ciascuno. Cosí la collaborazione si estende, insieme alla convinzione di ottenere un compenso quando si lavori insieme, invece di cercare di “arrangiarsi” da soli.
Tutto il contrario succede quando si hanno i detti “rapporti verticali”, o clientelari, in cui, per i partecipanti, non importa la densità o l’importanza della reciprocità. Si tratta di rapporti che non potranno mai basarsi sulla fiducia e la mutualità: come dice Putnam, “ Il rapporto padrone-cliente sicuramente implica uno scambio personale e obblighi reciproci, ma in questo caso si tratta di scambi verticali e di obblighi asimmetrici. Pritt-Rivers definisce il clientelismo come un’ amicizia distorta.”[38] Nella serie di argomentazioni qui sopra, Putnam rende ancor più evidente il suo distanziamento dal comunitarismo; faccio qui riferimento specifico al suo affermare che i legami di reciprocità tendono ad essere limitati all’interno di circoli, nei quali la segregazione è una caratteristica del gruppo stesso. Per opposizione, le reti d’impegno civile, che attraversano l’intera trama sociale, senza limiti, diventano colonne portanti delle riserve di capitale sociale.
Come la maggioranza degli analisti della società civile, neanche Putnam ne colloca al centro lo Stato o il mercato. Nel suo pensiero, è dalle sedi delle organizzazioni sociali che si può dare un maggiore impulso allo sviluppo economico: “norme e reti di impegno civile, invece di inibirlo, hanno dato spinta al progresso economico. È un effetto che continua anche oggigiorno. Durante due decenni, partendo dalla creazione dei governi regionali, le regioni civiche hanno avuto una crescita più veloce che quelle con meno associazioni e più strutture di tipo gerarchico, se prendiamo come inizio dello sviluppo il 1970. Infatti, confrontando due regioni con un grado di sviluppo simile in termini economici in quell’ anno, una delle quali con una densa rete di impegno civico, e l’ altra no, la prima ha mostrato una crescita più rapida della seconda durante gli anni seguenti.”[39] Tutto questo serve ad illustrare che la combinazione di una società civile e di una buona amministrazione pubblica genera effetti economici veramente notevoli. Una migliore società civile produce un buon governo, e la somma di questi due fattori genera, a sua volta, un’ economia solida. I cittadini entro le associazioni civiche si aspettano un buon governo, e fanno sforzi concreti per ottenerlo, richiedono servizi efficenti e sono pronti - collettivamente - a raggiungere l’ obiettivo. E così, “ il capitale sociale, quando è plasmato in reti orizzontali di impegno civico, rinforza l’agire della politica e dell’ economia, e non il contrario: ad una società forte corrisponde un’economia forte, ad una società forte, uno Stato forte.”[40] Quest’ equazione invalida i pregiudizi statalisti e anche quelli neoliberali, e rompe il falso dilemma che esige di scegliere tra maggiore Stato o maggiore mercato. È stato un lasso di tempo troppo lungo quello durante il quale ci siamo persi in discussioni sulla giustizia di questa o quella parte del binomio, senza renderci conto dell’ esistenza di un terzo fattore, che in realtà ne costituisce la risposta: la società. Questo è stato detto anche - fra gli altri - da Roberto Mangabeira Unger: “Il principale centro di discussione ideologica sta cambiando in tutto il mondo. La vecchia discussione fra lo statalismo e il privatismo sta perendo; è in procinto, infatti, di essere rimpiazzata da una piú promettente rivalità fra le alternative istituzionali dell’ economia, la società ed il pluralismo politico. La premessa di base di questa discussione è che le economie di mercato, le società civili libere e le democrazie rappresentative possono assumere molte e diverse forme istituzionali.” [41]
La soluzione al dilemma esistente (statalismo - neoliberalismo) può essere varia, ma sicuramente deve tenere in mente le considerazioni sopra esposte sul capitale sociale, che emana, precisamente, da una società civile attiva e che dà come risultato il rinforzarsi della democrazia. Per usare la terminologia di Putnam: “La democrazia non richiede che i cittadini siano dei santi disinteressati; ciononostante, implica, in diverse maniere, che la maggior parte di noi eviterà, per il maggior tempo possibile, la tentazione di ingannare. L’ evidenza indica, ogni volta più chiaramente, che il capitale sociale rinforza la parte migliore di ciascuno di noi, e fa affiorare il meglio. Il modo d’ agire delle istituzioni democratiche dipende, in gran parte, dal capitale sociale.”[42] Nella sfera della società civile, il circolo virtuoso generato dal capitale sociale è composto dalla fiducia, dal rispetto per la legge e dalle reti sociali, e ha tendenza a rinforzarsi e ad accumularsi. Sono circoli virtuosi, che producono un equilibrio sociale caratterizzato da alti livelli di collaborazione, reciprocità e impegno civico, insieme ad un benessere collettivo: “Per i fini della stabilità politica, dell’ efficacia del governo e anche per il progresso economico, il capitale sociale è più importante, forse, del capitale materiale e umano.”[43] E quindi, inversamente, la mancanza di questi tratti è una delle caratteristiche della comunità incivile. La diserzione, la mancanza di fiducia, di impegno civico, lo sfruttamento, l’ isolamento, il disordine e l’ alienazione dei mass-media, insieme alla stagnazione, si rinforzano a vicenda e riproducono o rafforzano i circoli viziosi.
Undici anni dopo la pubblicazione di Making Democracy Work, dobbiamo chiederci se il capitale sociale e la democrazia, in Italia, hanno avuto miglioramenti o sono peggiorati. A questo proposito oso dire que, purtroppo, tutti e due hanno sofferto una retrocessione di tipo patrimonialista quando è arrivato un governo che cerca di ottenere consensi per mezzo di prassi clientelari. Usando i meccanismi tipici del marketing politico, ha messo in moto un’ operazione volta a rinforzare legami soggioganti, che sono quelli di padrone e servo. In parallelo, esiste anche una confusione tra la sfera economica, quella ideologica e quella politica che, come diceva Norberto Bobbio, marcia in senso opposto a quello della modernità e della democrazia.[44] Il capitale sociale ha perso terreno davanti al capitale padronale, e la democrazia è stata sostituita da una farsa, dietro la quale si nascondono delle intenzioni autocratiche pericolose. Peró, anche in queste condizioni, nè lo spirito civico italiano, nè la ricerca della democrazia si stanno estinguendo.
Si tratta, invece, di due forze, tutte e due presenti in una contesa di risultato incerto. Esistono luoghi del tessuto sociale ancora incontaminati dal patrimonialismo frutto della propaganda televisiva: per esempio, nel caso delle associazioni civiche, i comportamenti poco accettabili devono essere scoraggiati e, come complemento, si deve cercare di creare reti che mettano in rapporto i settori sociali che hanno interesse a difendere la democrazia: “ In una società segnata da dense reti di impegno civico, nella quale la maggioranza rispetta le norme civili, è più facile frenare o punire una eventuale “mela marcia”, di modo che il tradimento è più rischioso e meno frequente.”[45] Nel caso contrario, invece, la mela che non ha patito decomposizione tende a ricevere l’ infezione dei mali che affliggono le altre, e cioè i rapporti verticali e clientelari che propendono a scomporre i circoli virtuosi.
Bisogna ricordare che Putnam, per illustrare la formazione di capitale sociale a grande scala, fa ricorso alle osservazioni di Duglass North; questi fa un paragone tra le caratteristiche delle circostanze postcoloniali del Nord America e quelle del Sud America, partendo dal passato coloniale di ciascuna. Si tratta, senz’ altro, di una spiegazione illuminante del grado di sviluppo delle due regioni, che si unisce ai suoi commenti sul caso dell’ Italia:
Dopo l’ indipendenza, tanto gli Stati Uniti come le repubbliche latinoamericane hanno avuto in comune alcuni schemi costituzionali, risosrse abbondanti e occasioni internazionali simili; gli statunitensi, peró, hanno tratto beneficio dalla decentralizzazione e dal bagaglio parlamentare inglese. Invece, i latinoamericani sono stati maledetti dall’ autoritarismo centrale, il patrimonialismo e il clientelismo ereditati dalla Spagna del tardo Medio Evo. In termini più prossimi a noi, gli statunitensi hanno ricevuto un’ eredità di tradizione civica, mentre che i latinoamericani hanno ricevuto tradizioni di dipendenza verticale e di sfruttamento. Il fatto non è che le preferenze e predilezioni specifiche del Nord America e del Sud siano diverse, ma che il contesto sociale, come derivato storico, mostra che ciascuno ha un diverso insieme di opportunità e incentivi. Il parallelismo tra il caso del Nord e Sud America ha un’ impressionante somiglianza col nostro caso, quello dell’ Italia.[46]
La conclusione a cui arriva Putnam è precisissima: presso le associazioni civili italiane esiste una specie di patto sociale fra partecipanti, che, senza essere un contratto come tale, è peró un impegno morale ancor più importante, e che fa che gli individui lo osservino senza che esista un obbligo esterno, ma per convinzione propria. Dice Putnam: “Il patto sociale che fa da sostegno alla collaborazione nell’ associazione civica non è legale, ma morale. E quindi la penalità derivata dall`infrangerlo non è di tipo giuridico, bensí è l’ esclusione, appunto, da questa rete di solidarietà e collaborazione. Le norme e le aspettative hanno un ruolo importante. Come è stato detto da Thompson, Ellis y Wildavsky, “le forme di vita diventano efficenti quando calssificano certi comportamenti come validi, e certi altri come non desiderabili o perfino inconcepibili.” Una prospettiva del proprio ruolo e dei propri obblighi come cittadino, parallelo all’ impegno verso l’uguaglianza politica, è il cemento culturale dell’ associazione civile.”[47] In ogni caso, anche se certamente la formazione di un capitale sociale no è compito facile, è peró, come sottolinea lo stesso Putnam, il punto chiave per far funzionare la democrazia.
Questo autore, dopo l’ edizione di Making Democracy Work, ha continuato lo studio del capitale sociale, e ha scelto come oggetto di ricerca la società americana, della quale egli stesso si dice orgoglioso, perchè è un baluardo della formazione civile della volontà e dell’ agire collettivo. Partendo tanto da argomenti teorici come da basi empiriche, segue le tracce delle associacioni civiche nel suo paese, dedicandosi al compito di mettere in mostra i profili della partecipazione civile negli Stati Uniti. Effettivamente, ha trovato numerosi elementi per mettere in luce l’ alto livello raggiunto dall’ interesse verso gli affari della collettività; nonstante questo, ha peró parimenti riscontrato segni di un preoccupante declino del grado di partecipazione attuale dei cittadini, se paragonato a quello dei loro genitori o i loro nonni, che intervenivano in ben altro modo sulla vita collettiva. Per queste ragioni ha intitolato il suo secondo libro Bowling Alone, e cioè “giocare a bocce da soli”. Fra gli elementi che spiegano questo declino si trova la televisione, e su questo fenomeno scrive: “Più tempo davanti alla televisione implica la diminuzione di praticamente ogni modalità di partecipazione civile e di impegno sociale.”[48] Il potere della televisione sottrae le persone dal contatto con i loro simili, portandole verso una dimensione ludica nella quale i problemi reali e i conflitti internazionali si trasformano in tanti altri bottoni, che possono essere attivati o disattivati a piacere. La televisione è uno stupefacente che si consuma con grande avidità e che inibisce la nostra capacità di raziocinio e di interagire con altri, “cosí come la televisione privatizza il nostro tempo libero, privatizza anche le nostre attività civiche e ostruisce l’ interazione con i nostri simili, a un livello perfino maggiore di quello in cui agisce sulle nostre attività politiche.”[49]
Putnam, in questa sua recente ricerca sui modi di agire del capitale sociale, riconosce che la dipendenza delle persone verso la televisione non è solo uno dei componenti, fra i molti che incidono negativamente sulla perticipazione sociale, ma le attribuisce il ruolo fondamentale nel bloccare i nostri rapporti diretti con i problemi comuni. Il brano seguente illustra nitidamente il problema.
La gente che ha detto che la televisione è il suo “mezzo principale di divertimento” fa molto meno lavoro volontario e partecipa molto meno ai progetti comunitari; va a meno cene e riunioni di club; dedica meno tempo a vedere amici; mette meno impegno nei lavori domestici; fa meno pic-nic; ha uno scarso interesse politico; dona sangue raramente; scrive agli amici con minore frequenza; fa meno telefonate interurbane; manda meno lettere di auguri o e-mails. In più, il tipo di persona di cui stiamo parlando ha sbocchi d’ira alla guida più spesso che le persone che, incluse nello stesso parametro demografico, hanno affermato invece di non usare la televisione come principale divertimento. La dipendenza dalla televisione non è solamente associata con un inferiore impegno verso la vita della comunità, ma anche con una comunicazione scarsa sotto tutti gli aspetti - scritti, verbali o elettronici -... Niente altro - nè un’ istruzione inferiore, nè un lavoro a tempo pieno, nè gli imbottigliamenti nel traffico, nè la miseria o i problemi economici - è più ampiamente associato con la distanza civica e la mancanza di relazione sociale che è generata dalla televisione come modalità di divertimento. [50]
Fra i risultati ottenuti da Putnam nella sua analisi del fenomeno della televisione, si riscontra che i giovani sono lo strato di popolazione più esposta a cadere nelle reti del videopotere. Si tratta di un potere che si è inserito passo a passo nella società, e ha assunto una progressione tale da divenire una parte dellla vita quotidiana. Ricordiamo un fatto previsto da Marshall McLuhan già dagli inizi degli anni ’60, in La Galassia Gutenberg, sosteneva profeticamente che nei prossimi decenni c’i sarebbe una rivoluzione nella percezione e nelle motivazioni umane, come conseguenza della televisione.
Queste sue affermazioni, in quel periodo, hanno suscitato incredulità e dibattiti accesi, ma oggigiorno possiamo solo dar ragione a questo professore canadese, morto nel 1980. Infatti, la televisione modifica tanto la percezione come le motivazioni dell’ umanità: bisogna capire la forza che hanno tecnologie verso l’isolamento dei sensi e la conseguente ipnosi sociale. Quindi, come formulato da Blake, ‘sono divenuti ciò che osservavano’. È cosí checomincia una specie d’ identità tra l’emisore e il recetore.
MacLuhan non era, come si pensa spesso, uno specialista in comunicazioni, ma un esperto in storia della letteratura - i suoi studi realizzati a Cambridge (Ingl.), ebbero culmine con una tesi del 1936 sulla poesia dell’ epoca elisabettiana -, ma la cui erudizione gli ha permesso di soppesare esattamente il cambiamento che si stava verificando, dalla cultura scritta alla (contro)cultura televisiva. A suo parere, lo scontro tra questi due modi di percepire la realtá era già cominciato, con grande svantaggio per il pensiero critico.
Fra i numerosi problemi creatisi in questo scontro, bisogna rilevare l’ effetto pernicioso diretto sulla politica, e specialmente sulla politica democratica. Vediamo: come dice Giovanni Sartori, la democrazia ha bisogno dell’ homo sapiens, mentre la televisione produce l’ homo videns, “l’uomo che legge, l’uomo della Galassia di Gutenberg, tende a divenire un animale mentale; l’uomo che solo guarda è un animale oculare”.[51] Davanti alla televisione l’ occhio divora l’intelligenza, e produce una “cecità mentale”. La ragione si semplifica, mentre la realtà si complica.
Cosí, l’ homo videns diventa homo ludens. Sullo schermo, la politica diventa spettacolo (show business). La televisione distorce la politica democratica e ne modifica il senso. E sappiamo bene che una democrazia mal intesa è qualcosa che si tiene in piedi con difficoltà.
La democrazia, nella sua essenza, è stata definita come il governo dell’ opinione pubblica. Quest’ ultima dovrebbe sorgere autonomamente dal dibattito e dalla pertecipazione; però, nelle attuali circostanze, l’ opinione dei cittadini è solamente un riflesso di quello che i media depositano nelle menti riceventi. Il potere della televisione sta fabbricando un’ opinione etero-diretta che truca lo spirito della democrazia come governo d’opinione. Questo succede perchè la televisione si esibisce come portavoce di un’ opinione pubblica che è semplicemente l’eco della sua stessa voce. La vox populi dei nostri tempi è, allora, in buona misura, la parola dei mezzi di comunicazione in bocca del popolo.
È vero che la democrazia è stata concepita come governo dell’ opinione, e questa dovrebbe nascere dal dibattito fra i singoli sugli affari pubblici; la formazione di opinione pubblica dovrebbe, cioè, muoversi in senso orizzontale e non verticale. Deve precedere qualsiasi modalità prestabilita di integrazione: è il primo scalino della ragione collettiva, e deve costituire il sostegno di un’ unificazione adeguata nell’ ambito della politica. Il “policentrismo” della sua formazione in quanto democratica è opposto all’ “unicentrismo” della sua creazione mercatologica in senso autoritario. Esiste una chiara contrapposizione di queste due forme di concepire l’ opinione pubblica, che in fin dei conti rappresentano la lotta fra tendenze discordanti, che si manifestano tutti i giorni all’ interno della società.
Jürgen Habermas ha lucidamente mostrato che l’ opinione pubblica si basa sulla politica di deliberazione. Il procedimiento democratico della deliberazione, costituisce, per questo autore, il nucleo del procedere democratico. Questo è possibile grazie al dialogo fra persone, per arrivare ad un’ autospiegazione collettiva. La politica di deliberazione ha quindi base nel dibattito, con mire d’ integrazione e organizzazione sociale.
La democrazia, come forma di governo in cui partecipano tutti, presuppone che i cittadini votino in consonanza con le loro opinioni. Jean-Jacques Rousseau diceva che la democrazia consiste nella possibilità “che ogni cittadino dia la propria opinione secondo il suo giudizio.”[52] Quello che invece fa la televisione è espropriare questa premessa fondamentale della democrazia, a vantaggio di un potere di tipo oligarchico.
Significativo è anche che Giovanni Sartori, nei capitoli finali della sua opera Che cos’ è la democrazia?, ne abbia dedicato uno, intitolato Hic sunt leones (denominazione per i luoghi sconosciuti nelle antiche mappe), al potere della televisione. Non possiamo negare che, col potere della televisione, stiamo entrando in lande sconosciute.
Il motore della lotta contro il videopotere è l’ educazione. Ricordiamo che Karl Popper, poco prima di morire nell’ agosto del 1994, scrisse un saggio precisamente sulla minaccia costituita dal potere della televisione, dove affermava che “la democrazia ha sempre voluto accrescere il livello d’ istruzione. È questa la sua antica e tradizionale aspirazione.”[53] L’ istruzione serve a dissipare le tenebre dell’ ignoranza e a combattere i poteri che dall’ ignoranza ottengono benefici. Quindi, si tratta di “vivere nella verità”, come diceva Vaclav Havel: la verità, infatti, comincia col distinguere la finzione dalla realtà. Come diceva Popper nel suo libro postumo, “La democrazia consiste nel mettere sotto controllo il potere politico. Questa è la sua caratteristica essenziale. In essa non deve esistere nessun potere politico fuori controllo. Peró, attualmente, la televisione è diventata un potere di dimensioni colossali, e si potrebbe perfino dire che è il potere più importante di tutti, come se parlasse Dio padre. Le cose continueranno cosí se permettiamo le prevaricazioni... La democrazia non può esistere se non mettiamo sotto controllo la televisione.”[54]
Il settore sociale che, invece, non ha come mezzo d’ intrattenimento principale la televisione è quello composto da persone di età media o avanzata. La tendenza, addentrandosi nel secolo XXI, sará pertanto verso una diminuzione dei livelli di partecipazione.
È possibile affermare che questa disparità fra generazioni, in quanto ai livelli di partecipazione, è uno dei dati che causano maggiori preoccupazioni sul futuro del capitale sociale e, quindi, sul futuro della democrazia. Le persone di giovane età si sentono meno attratte, e meno coinvolte, dai problemi della collettività. È questa la caratteristica della chiamata “generazione X”, e cioè un punto di vista individualista posto al di sopra dell’ impegno verso gli affari civili. Non esiste un suo legame con la politica, e nemmeno con le diverse ideologie e dottrine di tipo sociale; preferisce il profitto personale al pubblico interesse. Tutto questo non significa peró che i giovani siano completamente avulsi dai luoghi civili e politici, ma solo che sono in rapporto con questi ambiti in modo meno intenso di quello in cui lo sono stati i loro genitori o nonni. In conseguenza, anche se il capitale sociale si trova di fronte a difficoltà che potremmo chiamare di tipo generazionale, non è peró sul bordo dell’ abisso: sono queste la ragioni per le quali è necessario rinforzare l’ istruzione: per evitare che i giovani continuino a cadere nelle mani del potere della televisione.
Per quanto si riferisce al lavoro di Putnam, dopo la pubblicazione di Bowling Alone, di cui una parte importante è dedicata appunto alla perniciosa influenza della televisione, l’ autore si interessa, usando per questo l’ analisi caso per caso e con fini di equilibrio e di obbiettività analitica, al rinnovamento civico in America. Da questo suo lavoro si sono potuti ottenere esempi illuminanti, nei quali la creatività e l’ immaginazione della società invertono il flusso della decadenza. L’ autore osserva il costituirsi di nuove modalità di legami d’ associazione, e questo da mostra di un panorama meno scoraggiante di quello che potrebbe derivare, di primo acchito, dal vedere la decadenza del capitale sociale e della democrazia. Questa sfilata di esperienze ben riuscite nella formazione di capitale sociale in tempi recenti si trova nell’ opera Better Together, dove si legge: “Abbiamo selezionato ognuno dei casi studiati in questo libro fra un’ amplia gamma di alternative, in lungo e in largo gli Stati Uniti. La difficoltà che abbiamo avuto nello sceglierli, escludendone tanti altri, è, essa stessa, una dimostrazione della ricchezza e della diversità degli sforzi di primissimo livello verso la formazione di capitale sociale.”[55] Le storie che sono state incluse illustrano il modo in cui le persone che integrano in gruppi possono arrivare a mete tangibili. Non si tratta di romanzi rosa; anzi, più di una è piena d’ asprezze, ma più d’ una è anche una dimostrazione dello straordinario potere e dell’ ingegnosità nella creazione di reti sociali che hanno come scopo migliorare tanto la vita delle persone come la vita pubblica.
Queste associazioni hanno come caratteristica comune il realizzare al meno due tipi d’ azione. Da una parte, le loro attività permettono agli individui esprimere le proprie richieste ai governi; dall’ altra, le associazioni proteggono gli individui da eventuali prevaricazioni dei capi politici. Al loro interno fluiscono informazioni specifiche sulla loro stessa vita, che permettono ai membri discutere il loro comune destino e prendere decisioni. Allo stesso tempo, esse ottengono informazioni sulla vita pubblica, che le spinge al dialogo e alla determinazione di azioni che agiscano sull’ orientamento del paese. Il procedimiento di dialogo trasforma le opinioni dei singoli in una posizione definita dell’ associazione. In effetti, quello che fa è dar coerenza alle energie delle diverse posizioni, per incanalarle, orchestrandole, verso un certo fine.
Se parliamo di incanalare verso una meta definita le azioni in comune - e a modo di conclusione - chiudiamo come abbiamo cominciato, e cioè ricordando il risveglio della società civile nell’ annus mirabilis 1989. Ebbene, durante la manifestazione moltitudinaria realizzata a Berlino il 4 novembre di quell’ anno, apparve un manifesto che si distingueva per la sua originalità, giacchè riassumeva con numeri, e non parole, lo spirito di ribellione, e mostrava la dicitura “1789-1989”. Questo è, effetivamente, il significato profondo da dare al revival della società civile: ricuperare il senso e il contenuto della Rivoluzione francese e, con lui , della modernità politica.[56] Come ha detto François Furet, “siamo ogni volta più lontani dalla rivoluzione francese, eppure viviamo ogni voltà di più nel mondo che ha inaugurato. Dalla distanza è nata una vicinanza nuova.”[57]
Sotto lo stemma della Civil Society, chiamata testualmente in inglese, si è messo in marcia il “potere dei senza potere” (The Power of the Powerless): la gente è uscita in strada per mostrare la propria ira contro l’ oppressione non aveva armi nè soldi, ma un capitale molto più importante, la forza morale. Vaclav Havel lo ha espresso nitidamente: “La conclusione fondamentale che deve estrarsi da tutto questo è che la prima e più importnte sfera di attività, quelle che determina tutte le altre, è semplicemente l’ intenzione di creare e sostenere una ‘vita indipendente della società’ come espressione articolata del ‘vivere nella verità’.”[58]
Mentire puó fornire un alibi che dia dividendi a breve termine per i potenti, ma presto o tardi precipita da solo. È quello che è successo al totalitarismo, che ha invaso tutte le sfere dell’ agire umano (economica, ideologica, politica) per metterle al servizio di una cosiddetta “causa superiore”. Questo stesso può succedere ad una nuova forza invasiva, che pretenda di riunire in un solo centro di potere il denaro, la comunicazione e il potere pubblico. L’ epoca moderna è caratterizzata, invece, dalla realizzazione di uno sforzo continuo in cerca di una distinzione tra questi campi. Una prima distinzione è stata fatta tra il potere politico e quello religioso, la seconda fra quello politico e quello religioso. La secolarizzacione politica è stata seguita dalla liberalizzazione economica. Come Bobbio, potremmo dire che “il doppio processo di formazione della Stato liberale può essere descritto, da una parte, come l’emancipazione del potere politico dal potere religioso (Stato laico), e dall’ altra, come emancipazione del poetere economico dal potere politico (Stato di libero mercato).”[59]
Nel centro di questa distinzione si trova la società civile, un terreno che, verso il XVIII secolo, si è potuto conquistare opponendosi all’ assolutismo, per creare e dare forma alla nascente partecipazione dei singoli, in un rapporto polemico verso il potere politico con il il potere della cultura come baluardo. Non bisogna dimenticare che la partecipazione popolare nella Grecia classica aveva luogo nella polis, e che invece, per contrasto, ogni individuo preso separatamente si trovava nell’ ambito dell’ oikos, nel terreno dell’ idia.[60]
Nrel mondo moderno, questa distinzione è divenuta più esplicita quando è sorta la differenza tra i diritti di partecipazione di tipo democratico e i diritti libertari di fattura liberale (corrispondenti alla separazione tra status activus e status negativus del cittadino in campo politico da una parte, e l’individuo nel campo privato dall’ altra). Più tardi, la partecipazione non è stata più visualizzata come intervento diretto sul potere, ma come vigilanza e critica di fronte al potere. Queso è quello che costituisce la novità storica della società civile; si tratta di un luogo non più ristretto alla sfera politica, e non più determinato dalla logica del mercato.
La differenza fra la partecipazione degli antichi (politica) e la partecipazione dei moderni (civile e politica) è d’essenziale importanza per distinguere le tendenze comunitariste che, in alcuni casi, si rifanno al modello antico, di fronte alla coniugazione liberal-democratica caratteristica dei tempi moderni. È da questa che sgorga, precisamente, la libertà d’ associazione come diritto a partecipare ad una sfera pluralista non controllata dall Stato.
L’ apparizione della società civile corrisponde allo spirito illuminista, e il germe di questa novità si trova nei dibattiti avvenuti durante il secolo XVIII in salotti, caffé, osterie e clubs, al calore delle idee antiassolutiste (Montesquieu) e dell’ opposizione ai privilegi (Voltaire), assieme alla rivendicazione dei diritti dell’ individuo, fra i quali la libertà di pensiero e di espressione.
Le forme d’ associazione servono quindi ad integrare le opinioni e le volontà dei singoli in una risultante liberamente costruita, giacchè si può contare attualmente con spazi non determinati dal potere dello Stato o dalla meccanica del mercato. Come detto da Jean L. Cohen e Andrew Arato, “non c’ è dubbio, per lo meno fin dove ci riguarda, sul fatto che la ‘società’ dell’ illuminismo costituisce una nuova modalità di vita pubblica, e che questa è stata il prototipo del nascente concetto moderno di società civile.”[61]
Qui abbiamo abbordato lo studio della “società dell’ illuminismo” prendendo come guida le tre teorie più importanti dell’ epoca delle luci. Infatti, fin dal principio l’ illuminismo ha avuto rapporto col liberalimo come teoria e pratica della limitazione del potere, ai quali si è aggiunta la democrazia come teoria e pratica della distribuzione del potere. Provenienti da due rami politici diversi, in più di un’ occasione il liberalismo e la democrazia si sono trovati su versanti opposti, fino a che, passo a passo, hanno abbandonato il rilievo dato alle loro differenze, ed hanno esaltato i loro punti di coincidenza. A questo mosaico dottrinario si è aggiunta una terza linea di pensiero: il socialismo, come corrente che fautrice dell’ uguaglianza materiale. E per questo stesso, il socialismo è stato visto, in un primo momento, come nemico tanto del liberalismo come della democrazia. Questo continua a essere vero per certe posizioni radicali; invece, per posizioni più moderate, il socialismo è il complemento tanto del liberalismo come della democrazia. Questa ipotesi è di fondamentale importanza per capire quella che, nella nostra opinione, è la composizione culturale di base della moderna società civile, che è, allo stesso tempo, liberale, democratica e socialista o, per lo meno, sociale.
Quello che abbiamo esposto sopra è quello che si scopre nell’ analisi del concetto di “capitale sociale”: un’ attitudine di realizzazione della persona come individualità specifica; una modalità d’ integrazione iniziale, con la risoluzione di problemi collettivi per mezzo della partecipazione, e una presa di coscienza di quello che è l’ individuo come individuo sociale. È per questo che qui si è dato un risalto particolare alla vicinanza tra il capitale sociale e la società civile, a scapito del termine “comunità”. E questo, in special modo, perchè i comunitaristi non hanno una speciale simpatia nè verso il liberalismo nè verso la democrazia... ma nemmeno col socialismo. Infatti, per i socialisti il valore fondamentale è l’ uguaglianza, mentre che per i comunitaristi lo è la differenza... non può esservi contrasto più evidente.
La contraddizione scoperta de Putnam fra le comunità civiche e le comunità incivili puó avere ancora più luce se si ricorda che nelle comunità civiche sono presenti i valori portati dal liberalismo, la democrazia e il socialismo, mentre che nelle comunità incivili sono presenti i valori conservatori della tradizione (l’ obbedienza, il rispetto per la gerarchia, la religione). Le prime adottano il sistema democratico di governo insieme al tipo d’ autorità legale-razionale, ma le seconde adottano il sistema di governo autocratico con il tipo d’ autorità patrimoniale. Per loro stessa natura, le une e le altre tendono verso una meccanica di insieme di reti, attraendo a sé quello che trovano in prossimità: è questa la disputa fra circoli virtuosi e circoli viziosi. Sono due posizioni in lotta, tanto a livello locale - quello più studiato da Putnam - como a livello di nazioni.
Il paradosso di tutto ció è che la novità tecnologica e sociale costituita dalla televisione sta incidendo negativamente sul senso civico, sulla razionalità e sulla democrazia. Molti autori contemporanei hanno dato la voce di alarma su questo nuevo pericolo che rapresenta la sfida più importante per la democrazia in questo nascente secolo XXI, dopo avere soconfito ai suoi nemici più temibili del secolo XX quali furono el fascismo e il comunismo.



Traduzione di Ariella Aureli
















[1] Mark Warren, Democracy and Association, Princeton, New Jersey, Princeton University Press, 2001, p. 30.

[2] Ibidem., p. 74.

[3] Nancy L. Rosenblum and Robert C. Post, "Introduction", Civil Society and Government, Princeton New Jersey, Princeton University Press,. 2002, p. 4.

[4] Ibidem., p. 7.

[5] Mark Warren, Op. cit., p. 45-46.

[6] Ibidem., pp. 46-47.

[7] Ernst Gellner, "Civil Society in Historical Context", International Social Science Journal, n° 129, agosto, 1991, p.495.

[8] John Keane, Civil Society. (Old Images, New Visions), Stanford, California, Stanford University Press, 1998, p.32.

[9] John Locke, Two Treatises on Government, edizione critica, introduzione e note di Peter Laslett, Cambridge, Engl., Cambridge University Press, 1980.

[10] John Rawls, Lectures on the History of Moral Philosophy, (Edited by Barbara Hennan), Cambridge, Massachusetts, Harvard University Press, 2000, p. 345.

[11] Axel Honneth, "Atomism and ethical life: on Hegel's critique of the french revolution", in David Rasmussen, Universalism vs. Communitarianism, Cambridge (Massachusetts), The MIT Press, 1995, p. 136.

[12] Antonio Gramsci, Quaderni dal carcere, vol. III, & 1,2., Torino, Einaudi, 1975, p. 1518.
[13] Norberto Bobbio, "Sulla nozione di 'società civile' ", in De homine, 1968, n° 24-25, Istituto di filosofia dell’ Universita di Roma, p. 26.

[14] Simone Chambers, "A Critical Theory of Civil Society", in Simone Chambers and Will Kymlicka, Alternative Conceptions of Civil Society, Princeton University Press, 2002, p. 91.

[15] Benjamin Barber, Jihad vs. McWorld. (How globalism and tribalism are reshaping the world), New York, Ballantine Books, 1996, p. 281.

[16] Mark Warren, Democracy and Association, cit., p. 42.

[17] Gabriel A. Almond and Sidney Verba, The Civil Culture (Political Attitudes and Democracy in Five Nations), Newbury Park, California, Sage Publications, 1989, chapter, 11, pp. 266-306. Citado por Robert Putnam, Making Democracy Work, New Jersey, Princeton University Press, 1993, p. 90.

[18] Milton J. Eesman and Norman T. Uphoff, Local Organizations: Intermediaries in Rural Development, Ithaca, Comell University Press, 1984, p. 40. Citado por Robert D. Putnam, op.cit., p. 90.

[19] Ibidem., p. 91.

[20] Robert D. Putnam, Democracies in Flux, Oxford, England, Oxford University Press, 2002, p. 6.

[21] Robert D. Putnam, Making Democracy Work. Cit., p. 111.

[22] Ibidem., p.112.

[23] L. J. Hanifan, The Community Center, Boston, Silver Burdett, 1920, pp. 9-10. Citado por Robert D.Putnam, Democracies in Flux, cit., p. 4.

[24] L. J. Hanifan, "The Rural School Community Center", Annals of the American Academy of Political and Social Science, n° 67,1916, pp. 130-138. Citado por Robert D. Putnam, Democracies in Flux., pp. 4-5.

[25] Robert D. Putnam, Bowling Alone, New York, Simon & Schuster, 2000, p. 40.

[26] Robert D. Putnam, Making Democracy Work. cit, p. 114.

[27] Ibidem., p. 115.

[28] Idem.

[29] Putnam riconosce che la comunità civica non pretende di essere armoniosa, nè di essere scempia da conflitti al proprio interno. Accetta, invece, che il suo concetto di comunità civica si avvicina a quello che Benjamin Barber chiama “democrazia forte”. Nell’ opera si legge: “ la democrazia forte si basa sull’ idea dell’ autogoverno della comunità dei cittadini, uniti non tanto da interessi omogenei quanto dall’ educazione civica, e che hanno la capacità di stabilire propositi in comune, ed azioni in reciprocità, e più grazie alle attitudini civiche e istituzioni partecipative, e non tanto per altruismo o buona disposizione. La democrazia forte è compatibile con la politica del coflitto - e in effetti ne dipende - , con la sociologia della pluralità e la separazione tra l’ ambito pubblico e quello privato.” Benjamín Barber, Strong Democracy (Participatory Politics for a New Age), Berkeley, University of California Press, 1984, p. 117.

[30] Michael Sandel, Liberalism and the Limits of Justice, United Kingdom, Cambridge University Press, 1998; Michael Walzer, Spheres of Justice: a Defense of Pluralism and Equality, New York, Basic Books, 1983; Alasdair MacIntyre, After Virtue, Indiana, University of Notredame Press, 1984. Daniel A. Bell, Communitarianism and its Critics, Oxford, Oxford University Press, 1993. Charles Taylor, Multiculturalism: Examining the Politics of Recognition, Princeton New Jersey, Princeton University Press, 1994.

[31] Questo principio associativo, insieme all’ impulso alla collaborazione e all’ innovazione, è stata la base sulla quale è stato costruito lo Stato assistenziale (Welfare State). In diversi paesi dell’ Europa. Putnam dice: "Queste associazioni di assitenza reciproca sono state meno un altruismo idealisto e più una misura pragmatica di collanborazione con altre persone che si trovano nelle stesse condizioni, e anche per affrontare i rischi di una società che sta cambiando velocemente.” La sostanza delle società mutualistiche é stata la reciprocità: “se tu mi aiuti, io ti aiuto; io e te affronteremo insieme i problemi, visot che nessuno dei due può farlo da solo”. Making Democracy Work., p. 139.

[32] Robert D. Putnam, Making Democracy Work., p. 145 Non é un caso che il crimine organizzato sia una delle strutture sociali più radicate nell’ ambiente patrimonialista. Nel Sud Italia, sicuramente, la delinquenza ha preso diversi nomi - Mafia in Sicilia, Camorra in Campania, 'Ndrangheta in Calabria -; il fenomeno peró presenta similitudini molot evidenti: “gli storici, gli antropologi e i criminalisti discutono sulle origini specifiche, ma la maggioranza è d’ accordo sul fatto che il crimine organizzato ha sostegno su schemi tradizionalisti del tipo padrone - cleinte. Questo tipo di delinquenza é nato come risposta davanti alla debolezza delle strutture giuridiche e amministrative dello Stato.” Ibid., p. 146.

[33] Robert D. Putnam, Making Democracy Work, p. 168.

[34] Ibidem, p. 170.

[35] Idem.

[36] Ibidem., p. 171.

[37] Ibid., p. 172.

[38] Ibid., p. 174.

[39] Ibid., 176.

[40] Idem.

[41] Roberto Mangabeira Unger, Democracy Realize. The Progresive Alternative, London-New York, Verso, 2001, p. 3.

[42] Robert D. Putnam, Bowling Alone, p. 349.

[43] Robert D. Putnam, Making democracy work., p. 183.

[44] "Non ci sono precedenti, nei paesi democraticamente più maturidel nostro, di una tendenza all’ unificazione del potere politico col potere economico e col potere culturale per mezzo del potentissimo strumento della televisione, che é incomparabilmente superiore a quello della stampa - sebbene sia stata chiamata quarto potere - equiparabile al movimento “Forza Italia”. La riunione dei tre poteri in un solo uomo, o in un solo gruppo, ha un nome ben definito dalla teoria politica, e si chiama, come lo faceva lo stesso Montesquieu, dispotismo”. Norberto Bobbio, "La separación como arte liberal", La Stampa, 10 de febrero de 1994, seconda pubblicazione in Norberto Bobbio, Verso la Seconda Repubblica, Torino, La Stampa, 1997, p. 63.

[45] Robert D. Putnam, Bowling Alone, p. 178.

[46] Ibidem., p. 179.

[47] Ibid., p. 183.

[48] Robert D. Putnam, Bowling Alone, p. 228.

[49] Ibidem., p. 229.

[50] Ibid., p. 231.

[51] Giovanni Sartori, "Videopotere", en Id. Elementi di teoria politica, II Mulino, Bolonia, 1995, pp. 424- 425.

[52] Jean-Jacques Rousseau, "Du Contrat Social ou principes du droit politique", en Oeuvres complètes, III, Gallimard, París, 1964, p. 372.

[53] Karl Popper, John Condry , Cattiva maestra televisione, Donzelli, Milán, 1996, p. 37.

[54] Karl Popper, Op. Cit., pp.44-45.

[55] Robert D. Putnam, Better Together (Restoríng the Amerícan Comunity), New York, Simon &Schuster, 2003, p. X.

[56] Gale Stockes, The Walls Came Tumbling Down. (The Co!lapse of Communism in Eastern Europe), Oxford (U.K.), Oxford University Press, 1993, p. 140.

[57] F. Furet, Prefazione a F. Furet, M. Ozouf, (ed.), Dizionario critico della Rivoluzione francese, Milano, Bompiani, 1988, p. XI.

[58] Václav Havel, "The Power of the Powerless", V. Havel, Living in Truth. (Twenty-two essays published on the occasion of the award of the Erasmus Prize to Václav Have/), edito da Jan Vladislav, London/ Boston, Faber and Faber, 1987, p. 87.

[59] Norberto Bobbio, Il Futuro della Democrazia, Torino, Einaudi, 1991, pp. 124-125.

[60] Jürgen Habermas, The Structural Transformation of the Public Sphere. (An Inquiry into a Category of Bourgeois Society), traduzione di Thomas Burger, Cambridge (Massachusetts), The MIT Press, 1998, p. 3.

[61] Jean Cohen e Andrew Arato, Civil Society and Political Theory, Cambridge (Massachusetts), The MIT Press, 1994, p. 87.

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